Le origini dell’UECI e il ritorno alla democrazia in Italia, di Francesco Malgeri, ordinario di Storia Contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma
Nell’agosto del 1944, quando Vittorino Veronese convocò un gruppo di amici per discutere l’idea di dar vita ad una associazione di editori cattolici, Roma era stata liberata da appena due mesi, ma la guerra imperversava ancora nell’Italia centrale. Il fronte dell’esercito alleato era sul punto di fermarsi di fronte alla linea gotica. Il paese era diviso in due e stava vivendo uno dei momenti più drammatici della sua storia. Doveva trascorrere ancora un lungo e terribile inverno prima della conclusione di quella tragica guerra.
Roma viveva in quei giorni dell’estate 1944 un clima eccitato, salutava la fine di un incubo durato nove mesi, durante i quali l’unica nota di protezione e di conforto era venuta dalla presenza della Chiesa e del papa. Ma con la liberazione tornava anche il gusto della politica, del confronto delle idee. Ritornavano in primo piano le forze politiche democratiche, dopo la lunga parentesi della dittatura. Insomma appariva ormai vicina una radicale svolta, politica e istituzionale, nella quale la società civile, la cultura, le correnti di pensiero, stavano per ritrovare un terreno sgombro dai vincoli che avevano condizionato le libere scelte degli italiani.
In questo contesto le organizzazioni e gli ambienti cattolici cominciano ad interrogarsi e a ricercare le strade per essere protagonisti nella costruzione della nuova democrazia e del “nuovo ordine cristiano” che Pio XII aveva delineato nei suoi radiomessaggi natalizi durante gli anni della guerra. Non a caso, di lì a qualche mese, nel Natale del 1944, il pontefice indicherà nella democrazia l’ordinamento politico giudicato il più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini e il più vicino agli insegnamenti della Chiesa.
Le prospettive che si aprivano ai cattolici italiani erano quindi cariche di promesse, ma anche di responsabilità. Soprattutto in seno alle organizzazioni di azione cattolica emerge l’esigenza di una seria preparazione alla nuova realtà politica e sociale che stava emergendo. Si coglie anche l’esigenza di letture in grado di far riscoprire un pensiero politico e sociale ad ispirazione cristiana, animato dai valori della democrazia e della giustizia.
Proprio nel 1944, la rivista «Studium» poteva parlare di «singolare e forse inattesa fame di carta stampata» ed aggiungeva: «C’è più o meno incoscio un bisogno di sapere, di documentarsi, di aggiornarsi», una esigenza di «aprire gli occhi sul mondo, anche di guardare con occhi nuovi alle cose note; c’è infine — scriveva la rivista dei laureati cattolici — come una stanchezza di altri cibi e una ricerca di letture ancora semplicemente piacevoli, o polemiche, o sensazionali»1. In questo contesto e in questa atmosfera si aprivano per l’editoria cattolica nuove e importanti prospettive.
L’editoria cattolica aveva cominciato a muovere i suoi primi passi nella nuova realtà politica e sociale. Trovava ampio spazio, nella nuova e ampia produzione editoriale (nonostante la carenza di carta e di energia elettrica che rendeva il lavoro molto faticoso), soprattutto la storia e le idee del cattolicesimo sociale e politico. Non a caso in Vaticano la «Civitas Gentium» pubblicava l’opera di Giuseppe Dalla Torre dedicata ai cattolici nella vita pubblica italiana, mentre le edizioni della «Civiltà cattolica» davano inizio a varie collane che, accanto ai tradizionali temi apologetici e religiosi, non trascuravano i problemi sociali. L’Ave dal suo canto, con la sua nuova «Biblioteca sociale», dava spazio a numerosi volumi dedicati al comunismo, al problema del rapporto tra marxismo e cristianesimo, al pensiero sociale cristiano, affidati ad autori quali Alessandrini, Cantone, Lattanzi, Giordani,La Pira, Storchi ed altri. Le edizioni Studium affrontavano gli stessi temi utilizzando, in molti casi, gli stessi autori e pubblicando anche testi promossi dall’Icas.
1 «Studium» novembre-dicembre 1944, p. 243.
I temi sociali trovavano spazio anche presso la giovane editrice Coletti, mentre su argomenti più strettamente di carattere religioso, apologetico, di narrativa e di sociologia si ponevano le altre editrici che operavano a Roma, qualila Pro Familia,la Desclée,la Piasocietà San Paolo ed altre. Nel fervore della Roma di quei mesi successivi alla liberazione era rinata anchela Seli, l’editrice fondata da Sturzo nel primo dopoguerra, che aveva fiancheggiato il partito popolare e che era stata travolta anch’essa dall’avvento del fascismo al potere.La Selisi poneva ora a fianco della democrazia cristiana e iniziava la pubblicazione di testi di Sturzo e di don Giulio De Rossi, sconosciuti alle nuove generazioni e da molti dimenticati.
Questo fervore di iniziative editoriali era, quindi, il riflesso di un non comune impegno, destinato a far sentire la presenza del pensiero e della cultura cattolica nella nuova stagione che si stava aprendo. Quel pensiero e quella cultura non erano stati soffocati negli anni del regime fascista, avevano avuto i loro spazi di autonomia, ma avevano dovuto comunque nascondersi e ripiegare in un ambito esclusivamente religioso, o dietro lo schermo culturale e filosofico, fornendo non pochi motivi di riflessione anche su temi sociali, politici, e attorno al più generale problema della costruzione di una società nuova, ispirata ai valori del cristianesimo. Basti pensare al ruolo formativo che nelle nuove generazioni dei cattolici italiani impegnati o meno nelle organizzazioni dell’Azione Cattolica ha esercitato la traduzione delle opere di Maritain da parte della Morcelliana o la pubblicazione da parte della stessa casa editrice dei lavori di Bendiscioli sulla religione nel Terzo Reich e sul neopaganesimo razzista. «Chi può dimenticare — affermò Mario Petroncelli nel 1958 — il contributo delle collane della Editrice Fiorentina, della Morcelliana, di Vita e Pensiero, e più di recente delle edizioni Paoline, alla conoscenza di movimenti di pensiero fioriti oltr’Alpe, quando i cattolici italiani sembravano essere in altre faccende affaccendati, per risvegliarli dal loro torpore intellettuale e suscitare anche in essi un anelito di ricerca ed un interessamento che sta dando tanti buoni frutti?»2.
Nel nuovo contesto politico che stava aprendosi nel1944, invista della fine della guerra, si avverte, comunque, l’esigenza di un’azione comune e coordinata dell’editoria cattolica. L’iniziativa parte da alcuni ambienti dell’associazionismo cattolico, con l’obiettivo di promuovere un coordinamento dei cattolici anche nel settore editoriale.
2 M. petroncelli, // magistero dell’editore, in «Atti del VI convegno editoriale», Recoaro Terme, 12, 13, 14 settembre 1958».
Non è un caso, quindi, che Vittorino Veronese, il nuovo segretario generale dell’Icas (Istituto cattolico di attività sociale) convochi una riunione alla quale erano invitati alcuni esponenti dell’editoria cattolica romana. L’Icas, che aveva il compito di «formulare e diffondere l’indirizzo del pensiero cattolico», dopo la liberazione di Roma si trovò, come ha sottolineato Gianfranco Maggi, «al centro dello sforzo di costituzione di una rete di associazioni cattoliche capaci di rappresentare, interpretandone le esigenze, i più svariati ceti sociali»3. Proprio su iniziativa dell’Icas nacquero in quei giorni le Acli, il Centro nazionale dell’Artigianato, l’Unione cristiana imprenditori e dirigenti,la Confederazione cooperative italiane,la Federazione delle casse rurali ed altre unioni professionali.
Nel quadro di questa funzione tendente a favorire lo sviluppo di nuovi organismi e associazioni cattoliche, Veronese convocò nella sede dell’Icas, il 24 agosto 1944, padre Zuilig, in rappresentanza della «Civiltà cattolica», il prof. Ferdinando Storchi per l’editrice Ave, don Zappalorto per conto della Pia Società San Paolo, il sig. Coletti per la propria casa editrice; per l’Icas erano presenti Luigi Palma e l’avv. Marracino. Si trattava di una rappresentanza molto ridotta dell’editoria cattolica, anche soltanto romana, che aveva ben più ampia consistenza. Tuttavia, si trattava di un primo passo, di un primo scambio di idee sulla proposta che Veronese avanzò nel corso della seduta, sottolineando «la convenienza di una associazione apolitica tra gli editori cattolici, per una tutela, oltre che economica, soprattutto di carattere morale»4. Lo scarno verbale della riunione non ci consente di individuare chiaramente gli argomenti discussi. Il dato più significativo fu la lettura di una bozza di statuto che venne successivamente sottoposta all’esame di una successiva riunione, svoltasi il 7 settembre 1944, con una più ampia rappresentanza delle case editrici cattoliche romane: le ed. Sales, la Studium, la San Paolo, Desclée, Pro Familia e Coletti, e con la presenza anche di Giampietro Dorè. Si trattò di un incontro che favorì un passo avanti, sia nella indicazione del nome della costituenda associazione, sia nella definizione dello Statuto (inviato tra l’altro all’esame di mons. Montini, che lo restituì di lì a poco con alcune osservazioni), sia sui compiti dell’Unione e sulle prime attività da realizzare.
3 G. maggi, Istituto cattolico di attività sociale (Icas), «Dizionario storico del movimento cattolico in Italia», voi. I, t. 2, Marietti, Torino 1981, pp. 303-4; id., L’ICAS dal 1943 al 1948,in AA.VV., «Democrazia cristiana e costituente nella società del dopoguerra. Bilancio storiografico e prospettive di ricerca», Cinque lune, Roma 1980, I, pp. 93-127.
4 Verbale della Assemblea del 24 agosto 1944, in Archivio Ucci, Verbali 1944-1947.
Nella stessa riunione si precisò che, non appena avvenuta la liberazione delle regioni settentrionali, l’Unione si sarebbe naturalmente aperta all’adesione degli editori cattolici del Nord. Venne affidato al rag. Carlo Sbardella, rappresentante delle edizioni Studium, il compito di
curare l’attività dell’Unione in questa «sua provvisoria prima fase di vita»5.
Gli editori cattolici romani tornarono a riunirsi il 19 settembre6. Si decise, tra l’altro, la pubblicazione di un bollettino bimestrale per fornire informazioni «sull’attività editoriale dei vari aderenti all’Unione» e notizie interessanti per il «movimento cattolico editoriale». Avvenne anche la nomina di un comitato provvisorio direttivo, composto da Storchi, Sbardella e Coletti. All’unanimità venne poi deciso di designare un assistente ecclesiastico nella persona del gesuita padre Martegani, presente alla riunione in rappresentanza di «Civiltà cattolica». L’Unione aveva ormai fissato una sua prima, anche se provvisoria, base organizzativa, che consentiva di poter avviare le prime iniziative.
Il comitato provvisorio svolse la sua prima riunione il 22 novembre 1944, definendo una prima serie di attività dell’Unione che prevedeva due campi di iniziative, la prima dedicata alla assistenza spiri-rituale e culturale degli editori, quali l’organizzazione (circa tre volte l’anno) della giornata dell’editore, con funzioni religiose, dibattiti e relazioni su “aspetti della cultura moderna avente interferenze col libro”; l’organizzazione di un “ritiro minimo” in occasione della Pasqua e del Natale, la “ricerca degli elementi per additare come modello” agli editori un santo protettore che venne individuato in San Giovanni Bosco. La seconda parte di queste iniziative riguardava le attività tecniche, quali organizzazioni di mostre-vendite, una mostra annuale del libro cattolico, la possibilità di depositi collettivi per editori che hanno sede “in luoghi di difficile raggiungimento”, lo studio di vendite ambulanti e la pubblicazione del bollettino di informazioni bibliografiche.
5 Verbale dell’Assemblea del 7 settembre 1944, ivi.
6 Erano rappresentate le seguenti case editrici: Agenzia libro cattolico, Ave, Civiltà cattolica, Studium, Sei, Stella mattutina, Arce (verbale della Assemblea del 19 settembre 1944, ivi).
La successiva riunione del comitato provvisorio poteva già definire il programma della prima iniziativa da realizzare a Roma, cui venne dato il nome di “Prima giornata dell’editore”. Si svolse il 10 dicembre 1944, pressola Casadel Sacro cuore, in via dei Penitenzieri, alla presenza anche di mons. Montini che celebrò la messa di apertura della giornata. L’iniziativa trovò la piena adesione delle editrici cattoliche romane. Padre Martegani aprì l’incontro con una relazione introduttiva nella quale intese soprattutto indicare gli obiettivi dell’Ueci. Parlò della “tutela dei diritti e degli interessi specifici” degli editori cattolici “presso l’organizzazione sindacale alla quale
partecipano tutti gli editori”, della “assistenza professionale e religiosa dell’editore” e del “desiderio di coordinamento dell’azione degli editori cattolici per un più efficace influsso della loro attività nella vita della nazione”. Aggiunse padre Martegani che gli scopi dell’Unione potevano essere individuati
nella conoscenza, affiatamento e collaborazione fra gli editori cattolici, in una qualche specie di coordinamento di attività per poter svolgere un’azione più metodica ed efficace sul pubblico dei lettori, nella tutela dei principi morali e religiosi nella attività editoriale in genere, ed anche in una forma di assistenza interna (professionale e religiosa) allo scopo di elevare professionalmente l’editore cattolico e la sua produzione, tenendo conto, naturalmente, dei fini particolari di ciascuna Casa editrice e delle classi sociali alle quali esse intendono rivolgersi7.
7Archivio storico dell’Azione cattolica italiana (d’ora in avanti asaci), Ucci, P.G. XVII, 25
Seguì la relazione affidata ad Igino Giordani, sul tema “Constatazione e orientamenti attuali dell’editoria italiana”. Giordani era allora direttore del Quotidiano; il suo passato antifascista, la sua militanza nel partito popolare, la sua convinta adesione al pensiero sturziano, lo collocavano tra le figure più significative del cattolicesimo democratico italiano. Nella sua relazione agli editori cattolici Giordani parlò della nuova editoria emergente: «La nuova editoria — egli disse — ha preso subito il carattere dell’era nuova antifascista, democratica e libera». Espresse il suo compiacimento per l’impegno e la produzione delle editrici cattoliche, soprattutto nel campo politico e sociale «per rispondere — disse — ai problemi posti dalla nuova condizione dell’Italia sconfitta sì, ma decisa a riprendersi». Occorreva, secondo Giordani, che l’editoria cattolica uscisse da una sorta di minorità nella quale sembrava condannata nei confronti della editoria laica di maggior richiamo e notorietà. Occorreva insomma tenere il passo e rivendicare una dignità e un ruolo.
Stavolta — disse Giordani — le nostre editrici non vogliono farsi sorpassare, come una volta: non intendono restare ai posti di quart’ordine. Qui, stare ai posti di prim’ordine non è questione di boria o di vanità: è questione di dignità, e anche di successo di vendita. Chi si tira indietro, chi si accuccia, anche commercialmente, resta indietro, e deve vedere ottimi autori, talora, dannati a una scarsa circolazione di fronte ad autori mediocri valorizzati da una tecnica editoriale audace, moderna e sicura […].
In passato si riflesse in esse lo stesso sentimento di minorità morale e civile in cui si tenevano i cattolici, dopo le percosse della rivoluzione francese e del risorgimento liberale. L’intelligenza più feconda e grande oggi è la cattolica: pari vuoi essere l’editoria.
Giordani indicava poi all’editoria cattolica il compito di «fornire gli strumenti per la ricostruzione morale del paese: un paese — egli disse — squassato moralmente, lesionato, denutrito, e intellettualmente non meno che materialmente». Insomma l’editoria cattolica doveva dare «direttive spirituali, sociali, politiche e anche tecniche ed economi-che». I cattolici, anche attraverso la loro editoria, avrebbero dovuto contribuire a «ritirar su la dignità dell’uomo, già manomesso e schiavo, ricostruire l’autorità dello Stato, rialzare i costumi divenuti in certi strati tra belluini e satanici». Giordani chiedeva agli editori cattolici più fede e più coraggio. Chiedeva una fides quaerens intellectum e chiedeva ad essi «l’edificazione del regno di Cristo: la formazione d’anime»8.
La relazione di Giordani fu seguita da un lungo dibattito nel quale emersero anche i problemi concreti che gli editori dovevano superare in quel delicato momento della vita nazionale. Il problema della immagine del libro cattolico, sollevato da De Sanctis della Studium, una immagine compromessa, in molti casi, da una veste scialba, che andava superata per mettere il libro cattolico in concorrenza, anche nella sua veste esteriore, con le altre editrici. Emerse il problema della difficoltà degli approvvigionamenti della carta, e l’Unione venne investita del compito di trovare una soluzione. Si giunse, tra l’altro, da parte di Villa, direttore della sede romana del Pro familia, a lanciare un’idea, singolare, che non incontrò in verità molti consensi, di stampare a Roma opere di proprietà di editori cattolici dell’Italia settentrionale, che erano impossibilitati a distribuire la loro produzione nell’Italia centro-meridionale9.
Questa prima fase di vita dell’Unione appare quindi caratterizzata da un avvio che, pur evidenziando una non trascurabile volontà di procedere sulla strada di un primo impegno organizzativo, evidenzia anche i limiti di un organismo che era privato dell’apporto non trascurabile degli editori cattolici che operavano nell’Italia settentrionale ancora soggetta all’occupazione tedesca. Questo limite e questa provvisorietà appare sempre presente nelle riunioni del consiglio di presidenza. Solo, infatti, nel corso dell’Assemblea dei soci dell’8 aprile 194510, alla vigilia della liberazione del Nord, venne definito un più organico assetto della struttura dell’Unione e vennero espletati quegli adempimenti formali che segnano la nascita ufficiale dell’Ueci. Fu Ferdinando Storchi a leggere la relazione del Consiglio di presidenza provvisorio, nella quale venivano rissati, in quattro punti, i compiti e i fini dell’Unione:
8 I. giordani, Constatazioni e orientamenti attuali dell’editoria italiana, «Studium», novembre-dicembre 1944, pp. 243-5.
9 asaoi, cit.
110 Nel numero 2 del «Bollettino di Bibliografia cattolica», maggio 1945, viene erroneamente indicata la data dell’8 maggio. Dai verbali dell’Assemblea e del Consiglio risulta con chiarezza che l’Assemblea si svolse l’8 aprile nella Casa del sacro cuore dei padri gesuiti. Anche per quanto riguarda chi lesse la relazione del consiglio di presidenza esiste una difformità tra il «Bollettino» che indica Sbardella e il verbale che indica lo stesso Storchi.
1) riunire in un’accolta compatta gli editori cattolici di tutta Italia; 2) tutelare col prestigio della sua presenza gli interessi economici in seno alla associazione sindacale; 3) assistere professionalmente e spiritualmente gli associati; 4) coordinare l’azione per un più efficace influsso sulla editoria generale.
La relazione affrontò poi il tema del “mestiere dell’editore cattolico”, invitando alla serietà e all’impegno, anche per rendere sempre più apprezzabile questa attività rispetto all’editoria laica. C’è un brano di questa relazione che suona severa critica a certi metodi che avevano caratterizzato in passato la fisionomia dell’editore cattolico:
[…] troppo frammentaria è spesso la nostra attività singola, troppo legata a personalismi, a consuetudini appesantite dal lavoro, a vedute ristrette nella breve cerchia di un circolo chiuso in cui spesso manca il libero avvio verso aure di maggior respiro. Editore cattolico è stato per molti anni sinonimo di lavoro talvolta limitato, ingenuo, insofferente di nuovi indirizzi, statico nei confronti degli immensi progressi, monopolio di colleghi così detti profani. Anche la forma non si è curato di vigilare: sedi assai poco accoglienti in locali deficienti assolutamente, sistemi di gestione empirici e arretrati, relazioni amministrative col personale e gli autori insufficienti e tutto questo di fronte a criteri moderni, di luce, di spazio, di modernità dell’editore scientifico o di assortimento11“.
La relazione toccò anche il problema dei rapporti con l’Associazione degli editori, auspicando un piano di collaborazione e di rappresentanza. Da qui l’invito agli editori cattolici di aderire all’associazione per la tutela degli interessi tecnici e sindacali della categoria. Occorreva «lavorare in comune — disse Storchi — con spirito di cristiana amicizia, e per meglio avvalorare le nostre limitate forze ci uniamo per studiare e risolvere insieme gli stessi problemi che sono di incalcolabile importanza»12. Storchi lamentò tuttavia il fatto che le adesioni delle editrici cattoliche all’Unione non erano state pari all’attesa e ammontavano complessivamente a ventisette. Si compiacque, tuttavia, dei primi risultati raggiunti ed in particolare della uscita del primo numero del Bollettino bibliografico.
11La prima assemblea dell’Unione, «Bollettino di Bibliografia cattolica», maggio 1945, p. 18.
12Ibidem.
L’assemblea, tra l’altro, intese non aderire alla proposta presentata da padre Martegani che intendeva modificare la ragione sociale di “Unione editori cattolici italiani” in “Unione cattolica di editori italiani”. Si legge nel verbale dell’assemblea che «dopo ampia discussione dalla quale chiaramente emerge il desiderio che l’Unione rimanga esclusivamente fra gli editori cattolici, viene stabilito di non modificare la ragione sociale». Infine, l’assemblea approvò lo Statuto e votò le nuove cariche sociali, tra le quali il Consiglio di Presidenza che vide eletti Storchi, Sbardella, Coletti, Lucatello e Villa. Storchi assunse la presidenza, Sbardella la vice presidenza13.
La liberazione del Nord alla fine di aprile poneva comunque all’Unione il problema delle nuove adesioni e della impostazione del lavoro e della organizzazione sul piano nazionale del lavoro e della organizzazione. Come emerge dal Verbale del consiglio di presidenza del 30 aprile 1945, fu la Morcellianala prima editrice del Nord ad inviare la sua adesione, che giunse a Roma, si legge, «a mezzo di Mattei». Il successivo Consiglio del 14 maggio, affrontò la questione del “collegamento con il Nord”, decidendo di far pervenire alle editrici cattoliche il materiale informativo e le schede di adesione. Tra l’altro il secondo numero del «Bollettino di bibliografia cattolica» pubblicava un «saluto fraterno e commosso» agli editori dell’Italia settentrionale, sottolineando l’esigenza che «gli editori cattolici italiani confermati agli stessi compiti facciano fronte unico, pacifico fronte per portare il loro contributo alla ripresa della ricostruzione nazionale». Venne altresì ribadito il concetto che «gli editori hanno precise responsabilità nel nuovo assetto della vita nazionale: sappiano assumerle da buoni operai che devono tutto ricominciare, ma lo facciano con spirito alacre e fedele nelle risorse di nostra gente»14.
Un primo momento di incontro e di confronto tra editori cattolici del nord e del centro-sud si ebbe con l’organizzazione di altre due giornate dell’editore (svoltesi a Roma, il 31 maggio e il 14 ottobre 1945), alle quali intervenne anche qualche rappresentante dell’Italia settentrionale e dove cominciò ad avviarsi un approfondimento di temi e di problemi che avranno poi negli anni successivi, nei convegni organizzati dall’Ueci, un campo di riflessione e di ricerca particolarmente significativo. A Roma nell’ottobre 1945 il tema discusso fu “il rapporto tra editore e autore come collaborazione intellettuale”, affidato a Giuseppe Sala. Nella successiva Pasqua del1946 l’Ueci organizzò anche il primo ritiro pasquale per editori, librai e loro dipendenti.
13Assemblea dell’8 aprile 1945, in Archivio Ueci, cit.
14Saluto, «Bollettino di bibliografia cattolica», maggio 1945.
In questi primi mesi di vita dell’Unione emerge, tra l’altro, la particolare attenzione prestata da Giovanni Battista Montini all’avvio e al consolidamento dell’associazione degli editori cattolici. Non a caso il sostituto alla segreteria di Stato proveniva da una città, come Brescia, nella quale l’editoria cattolica aveva svolto un ruolo e una funzione culturale e pedagogica di grande significato. Quale assistente ecclesiastico dei rami intellettuali dell’Azione cattolica, Montini era stato particolarmente attento ai temi della lettura, dello studio e della cultura. Il suo apostolato intellettuale tra i giovani era fondato su solide e serie letture, né aveva mancato di incoraggiare, sorreggere e guidare l’editoria cattolica, in particolare bresciana. Come ha sottolineato Gabriele De Rosa, Montini ha sempre «annesso alla cultura, alla lettura, allo studio, non solo come disciplina, ma come preparazione, via, educazione ad una più profonda vita spirituale»15.
Ricevendo nel maggio 1946 padre Martegani e Carlo Sbardella, mons. Montini non mancò di apprezzare le iniziative e l’attività dell’Ueci e soprattutto apparve affettuosamente prodigo di consigli pratici, quasi prendendo per mano i dirigenti dell’Unione per guidarli nel loro lavoro. Riferendosi, in particolare, all’Assemblea e al convegno previsto per il successivo mese di giugno,
si compiacque — si legge nel verbale del Consiglio del 24 maggio — per l’ottima iniziativa. Stimò cosa molto opportuna l’omaggio dei libri al Santo Padre e diede alcuni suggerimenti affinchè il convegno inserisse nel modo più degno, e cioè la visita alla Biblioteca Vaticana, la stampa di un ricordino da distribuire agli intervenuti, recante la fotografia del S. Padre che sta scrivendo a macchina, l’invio di un indirizzo di ringraziamento al S. Padre per essersi degnato di concedere l’udienza, unendo una relazione che serva ad un tempo sia come cronistoria dell’Unione, sia come documentazione dell’attività svolta dall’Unione; forse questa relazione avrebbe dato lo spunto al S. Padre per rivolgere un discorso agli editori16.
15 G. de rosa, Laformazione di G.B. Montini, in AA.VV., Paul VI et la modernità dans l’Eglise, Ecole Francaise de Rome, 1984, p. 8.
16 Verbale della riunione del Consiglio del 24 maggio 1946, in Archivio Ueci, cit.
Il 15 giugno 1946 si svolgeva a Roma la prima assemblea nazionale dell’Ueci. Quei giorni il paese era appena uscito dalla grande battaglia elettorale che aveva portato alla scelta repubblicana e all’elezione dell’Assemblea costituente. Cominciavano in qualche modo a delinearsi, sia pure in forme ancora indistinte, le linee dell’assetto istituzionale del nuovo Stato nazionale, che attraversava una fase non trascurabile della sua storia. La dinastia sabauda e il regime monarchico, che avevano rappresentato un elemento centrale, per molti aspetti fondamentale, nel processo di unificazione nazionale e in quasi un secolo di storia italiana, venivano anch’essi travolti dalle colpe e dagli errori del passato. Il paese si apriva ad una nuova fase di vita democratica, che appariva carica di incognite ma anche animata da grandi speranze, una fase nella quale i cattolici non sarebbero stati più spettatori scomodi e a volte tollerati, né avrebbero assunto posizioni di rifiuto delle istituzioni nazionali, ma avrebbero interpretato un ruolo centrale nella costruzione di questa nuova democrazia, che intendevano vitalizzare con i valori e le istanze che erano espressione del pensiero cristiano.
Questo clima di attesa e di speranza animò il dibattito della prima assemblea degli editori cattolici, svoltasi nella nuova sede dell’Unione in via della Conciliazione, alla presenza dei rappresentanti di case editrici cattoliche provenienti dalla gran parte delle regioni italiane. L’assemblea elesse, tra l’altro, il nuovo consiglio che riconfermò Storchi alla presidenza, Sbardella e Antoniazzi della Colibrì di Milano alla vice presidenza, mentre tra i consiglieri troviamo Coletti, Minelli di Brescia, Salani di Firenze, Marietti di Torino, Caccia perla Seidi Torino e don Ratti perla IPLdi Milano. L’assemblea decise, tra l’altro, la nomina di alcuni delegati regionali nelle persone di Antoniazzi per Milano, Caccia per Torino, Seghezzi per Bergamo, Cappelletti per Vicenza, don Bellini per Padova e Salani per Firenze. Successivamente vennero nominati anche Minelli per Brescia, Milano per Padova, Godensi per Roma e D’Auria per Napoli.
Certamente l’adesione delle editrici del nord offriva all’Unione ben altra forza e fisionomia. Non si trattava più delle sole editrici romane, certamente numerose, ma legate in molti casi all’associazionismo cattolico o al Vaticano o ad ordini religiosi. Pur non trascurando il peso e la qualità di queste case editrici, esse erano in qualche modo protette nella loro attività commerciale, si muovevano nella gran parte all’interno di organismi ben solidi che ne tutelavano i passi. L’editoria settentrionale, lombarda, piemontese o veneta, aveva, invece, un diverso e superiore peso specifico sul piano commerciale; per certi aspetti aveva anche una sua indubbia autorità, una presenza e una diffusione che copriva diversi ambiti disciplinari dal versante filosofico, al teologico, storico, agiografico, spirituale sino al settore scolastico17.
Tuttavia le iniziative e l’attività dell’Unione nei mesi successivi, se si esclude il successo di una “Settimana natalizia del libro” organizzata a Roma nel dicembre 1947, e una attiva opera per l’acquisto all’estero di un certo quantitativo di carta, tramite il Vaticano, al fine della distribuzione agli editori cattolici, l’attività dell’Ueci appare ancora limitata, chiusa entro confini angusti, quasi incapace di uscire allo scoperto con iniziative di un più ampio significato, in grado di favorire una reale promozione del libro cattolico18.
Queste difficoltà consigliarono di ricorrere di nuovo all’aiuto di mons. Montini che il 10 aprile 1947 ricevette in udienza padre Martegani, Storchi, Sbardella e De Luca, segretario del Consiglio. Il sostituto mostrò, ancora una volta, di avere a cuore le sorti dell’Unione, suggerendo «di studiare qualche nuova iniziativa che possa dare maggiore vitalità all’Unione stessa» istituendo anche «dei premi per autori ed editori, come ad esempio per il miglior romanzo a sfondo morale, il miglior libro di pietà ecc.». Emerse nel corso dell’udienza il reale problema che, in qualche modo, rendeva difficile l’attività dell’Ueci, vale a dire la mancanza «di fondi per iniziare qualsiasi lavoro»; Montini promise anche il dono all’Unione di un autofurgone19.
Proprio il dono e l’utilizzazione di questo furgone evidenzia la precarietà della situazione finanziaria dell’Unione. E soprattutto ci consente di cogliere l’immagine di una Italia ancora povera, se non lacera, che cominciava in qualche modo a rimpannucciarsi, ma che ancora non era uscita dalle ristrettezze di quel dopoguerra. Un’Italia che non aveva certo ancora conosciuto quel benessere che negli anni successivi avrebbe cambiato la sua immagine e il suo costume. Si legge nel verbale del consiglio del 3 maggio 1947:
Sbardella comunica che il Santo Padre ha già assegnato un’auto all’Ueci ed è quindi necessario pensare subito alla sua utilizzazione. Per evitare fin da principio qualunque spesa, tutti convengono nella proposta di servirsi della macchina per il solo trasporto di libri in località vicine dove si dovranno allestire delle mostre vendite, d’accordo con le autorità religiose locali. La trasformazione della carrozzeria ad esposizione permanente del libro potrà essere fatta solo in un secondo tempo, quando la prima esperienza darà un buon risultato e l’Ueci avrà aumentate le sue possibilità finanziarie. Per il momento si potrebbe al massimo studiare il sistema di utilizzare come scaffali le stesse casse nelle quali potranno essere trasportati i libri20.
18Non a caso in una relazione presentata al Consiglio di presidenza del 15 marzo 1947,
Carlo Sbardella sottolineava i limiti di questa attività. Gir. Riunione del Consiglio del 15 mar
zo1947, in «Archivio Ueci», cit.
19Una breve nota sull’udienza in calce nei verbali del Consiglio di presidenza, ivi.
20Ivi.
Quanto al personale, come spiegò Storchi nell’assemblea di Milano del 28 giugno 1947, l’Ueci aveva una «rudimentale organizzazione dei suoi uffici. Un solo impiegato in alcune ore pomeridiane provvede al funzionamento di tutti i servizi. Non v’è chi non veda — aggiunse — quanto siano limitate queste energie e come sia necessario provvedere ad un minimo di organizzazione in modo che le varie attività, piuttosto che trascurate per forza maggiore, siano seguite per l’intera giornata almeno da un segretario e da un aiuto per le scritturazioni»21.
Siamo, quindi, in una fase, per così dire, pionieristica dell’Unione, e comunque in una fase ancora precaria sul piano delle risorse economiche. Storchi parlava degli «impacci di una vita troppo limitata e a tipo familiare», prevedendo comunque per il futuro dell’Unione «il ruolo di grande associazione nazionale che affianca con mezzi adeguati l’attività dei cattolici in Italia».
Obiettivo dell’Unione, secondo Storchi, era di superare una fase semplicemente tecnica e sindacale, assumendo attività «soprattutto spirituali e morali e tali in ogni modo da influire in senso operosamente cristiano sia sugli editori come sull’editoria». Tuttavia, proprio nell’assemblea di Milano del giugno 1947, l’Ueci cominciava ad evidenziare la sua forza e la sua consistenza. Le case editrici cattoliche iscritte erano ottanta22, ed era quella «la dimostrazione della esistenza — disse Storchi — di una larga schiera di libere energie, disposte a non essere più circolo chiuso e orto concluso in questo campo, decise a superare ogni diffidenza e concorrenza nel comune lavoro, per stabilire invece una fraterna unione di intenti fra grandi e piccoli quale condizione prima e fondamentale per ogni ulteriore e comune attività».
21 Verbale della II assemblea generale dei soci «Archivio Ucci», Verbali delle riunioni 1947-1950.
22 Questo l’elenco delle case editrici iscritte all’Ucci: L’Aurora Serafica, S. Alessandro, Edizioni Orobiche, La Queriniana, La Morcelliana, Vittorio Gatti, Giannini Giulio e figlio, Libreria Fiorentina, Editrice Fiorentina, Adriano Salani, Mazza, Bevilacqua e Solari, Ancora, Vita e Pensiero, Daverio, Ist. Propaganda Libraria, Antoniazzi, Buona Stampa, Libr. Ed. Arcivescovile, Opera regalità di N.S.G.C., La San Paolo di G. Gasperini, Alba, La Sorgente, Pont. Ist. Missioni estere, Gioventù femminile di A.C., Pro Familia, Solidas, Tip. Pont. Immacolata Concezione, D’Auria, Lib. Gregoriana, II Messaggero di S. Antonio, Cedam, Le Tre Venezie, Tip. Pontificia, Libr. Salesiana Arcivescovile, Prop. Liturgica Missionaria, Agenzia del Libro cattolico, Libreria dell’Apostolato cattolico, Carrabba, Coletti, Libr. Salesiana, Stella mattutina, semci, ave, icas, Aurora, agli, sais, alci, Cenacolo, A. Manzoni, Studium Christi, Verbum, seli, Raggio, F. Ferrari, Studium, Pia soc. San Paolo, F. Pustel, sales, La civiltà
cattolica, Ed. Comm. Arnodo, II Popolo, Cathedra, Belardetti, Avio, II Maestro, Magi Spinetti, Ezio Cantagalli, Marietti, lice, Si, Libr. Ed. Arcivescovile, Ardesi, Varese, Libr. Emiliana, Lampade viventi, SAT, Soc. An. Gallo, Tip. G. Rumor, Favero, Canguri e Filippi. La distribuzione territoriale era la seguente: Lazio 33, Lombardia 21, Veneto 11, Toscana 6, Piemonte 4, Liguria 1, Emilia 1, Campania 1, Puglia 1, Sicilia 1. (Ivi).
Richiamò, infine, l’esigenza di una «forte vita associativa», auspicando «la ricerca di iniziative nuove, vistose, capaci di richiamare sull’editoria cattolica l’interesse del pubblico»23. Ravaglioli, commentando gli esiti dell’Assemblea di Milano in un articolo sull’«Osservatore romano», sottolineava l’ampiezza della presenza e della produzione dell’editoria cattolica, la varietà degli interessi, la molteplicità delle collane. «Essa — affermò — ha ormai la mole, l’esperienza, il contenuto per interessare come un fenomeno non ristretto al settore dei cattolici militanti, ma proprio come fenomeno nazionale, come una fondamentale componente del tessuto culturale nazionale»24. Al nuovo Consiglio, che vide la riconferma di Storchi alla presidenza25, si deve in particolare la trasformazione del «Bollettino» in una rivista che prese il nome di «Libri d’oggi». La successiva fase della vita dell’Unione, soprattutto dopo l’Assemblea di Roma del novembre 1948 e la nomina di Salani alla presidenza, sembra far maturare l’esigenza in seno alla direzione dell’Ueci di un intenso lavoro per sviluppare la diffusione del libro cattolico in tutti gli ambiti sociali del paese. Infatti proprio nel clima di duro scontro con altre correnti politico-culturali che segnano la vita pubblica italiana di quegli anni, all’indomani dell’eccezionale successo elettorale della De nelle elezioni del 1948, interpretato da molti ambienti cattolici come una sorta di premessa ad una riconquista cristiana della società italiana, si coglie il desiderio in seno all’Ueci di operare, anche in collaborazione con l’Aci, per far penetrare più profondamente nel paese il pensiero e la cultura cattolica. Non a caso Ravaglioli, aprendo i lavori del Consiglio di presidenza del 24 marzo 1949, rilevava che «le circostanze d’ambiente, e la stessa situazione politico-culturale italiana sembrano reclamare un deciso intervento dell’Ueci, quasi come avanguardia dei cattolici italiani». Occorreva, secondo Ravaglioli, un risveglio dei cattolici nel campo culturale, occorreva «superare le iniziative che altre correnti già da tempo hanno preso». A tal fine auspicava anche una più intima collaborazione tra editori e librai cattolici associati nell’Ulci (Unione librai cattolici italiani).
23 Storchi insistette, tra l’altro, nella esigenza di azioni promozionali del libro cattolico, anche con mostre ambulanti organizzate non solo nelle grandi città ma anche in provincia: «c’è tutto il mondo della provincia da raggiungere — disse —, ove la vita si svolge in un ritmo più lento, ma non meno interessante, ove spesso non esistono librerie e il libro stesso penetra e si diffonde con difficoltà». Ivi.
24 Dopo il convegno dell’Ueci a Milano. Prospettive dell’editoria cattolica, in «Osservatore romano», 3 luglio 1947.
25 Vice presidenti furono Cappelletti e Ravaglioli, consiglieri: Minelli, Milano, Marietti, Coletti, Antoniazzi e Sbardella.
Ma l’iniziativa a questo riguardo più significativa appare la costituzione del Centro Biblioteche per tutti, in collaborazione con l’Aci e con l’Arce, un organismo di distribuzione di libri dipendente dall’Azione cattolica. L’obiettivo, come precisarono Giampietro Dorè e Fausto Minelli nella riunione del consiglio di presidenza del 28 giugno 1949, era la costituzione di «biblioteche differenziate: biblioteche cioè per i sindacati, gli stabilimenti, le cascine, le fabbriche». Occorreva trovare «un campo nuovo non ancora sfruttato dai librai». Questa linea di incisiva presenza e penetrazione nella società trovava il consenso anche di padre Martegani, che ribadì la «necessità di penetrazione nella classe operaia». Secondo Padre Martegani «centri di cultura a sfondo massonico stavano sorgendo in parecchie località, per cui — disse — è necessaria la presenza delle forze cattoli-che per vigilare ed eventualmente intervenire». Lo stesso Martegani sottolineò nella successiva Assemblea del 4 novembre 1949, che l’azione culturale dei cattolici doveva muoversi su due diversi piani: da un lato la «creazione d’una collana popolare cattolica» e, dall’altro, come «meta lontana e più importante […] la formazione di uomini di alta cultura, per le future generazioni».
Martegani offre, quindi, chiare indicazioni per un lavoro che doveva fare dell’Ueci uno strumento per la diffusione delle idee cristiane, ai fini del recupero di quella parte della società che sembrava aver smarrito gli antichi valori. L’Ueci cercò in qualche modo di secondare questo disegno, ma si coglie chiaramente dai documenti dell’Unione come la fisionomia, la natura dell’Unione non rispondeva certamente alla prospettiva della mobilitazione e della crociata. L’attenzione al dato culturale, alla riflessione sui libri e sul ruolo che essi potevano esercitare nella realtà italiana, nella cultura italiana, con un lavoro in profondità, a lungo termine, sembra essere e restare anche negli anni successivi l’indirizzo prevalente nella vita dell’Ueci, che, tra l’altro, evitò accuratamente commissioni o coinvolgimenti di natura politica. Non a caso, Armando Ravaglioli, nella sua introduzione al Catalogo generale dell’editoria cattolica nel 1950, poteva scrivere:
In queste pagine è racchiusa molta forza di vita e di pensiero. Ai nostri scrittori, alle nostre istituzioni culturali, alla competenza dei nostri editori starà di trarre le conclusioni demolendo il fatiscente, sfrondando l’esuberante, ravvivando ciò che è sopito, innovando e rischiando vie nuove dove sia il caso. E compito di diligenza, di comprensione del mondo attuale, di responsabilità per quell’impegno che i cattolici hanno contratto più vivo e più forte col mondo contemporaneo.
Esaminando il quadro complessivo della produzione dell’editoria cattolica nel corso del 1950, Ravaglioli affermava:
Ci sono i libri più santi e quelli consacrati dalla classicità e dalla fama, ci sono le nuove opere nate dal tormento dei nostri anni; collane annose e gloriose che rappresentano un vanto dell’editoria italiana al confronto di quella straniera, opere liturgiche per le quali l’Italia cattolica detiene una palma meritata, e non mancano neppure raccolte freschissime in cui si esprimono i nuovi bisogni spirituali in forme adeguate alle esigenze del pensiero, della formazione, del costume attuale26.
Non a caso, negli anni successivi, soprattutto negli anni Cinquanta, negli anni delle presidenze di Andrea Salani, Fausto Minelli e Gianpietro Dorè, i Convegni editoriali organizzati dall’Ueci vengono a rappresentare un momento di grande significato nel dibattito attorno ai problemi del libro nella società italiana. In altre parole questi convegni diedero occasione agli editori cattolici di confrontarsi e discutere attorno ai grandi temi di carattere etico, culturale, economico che il mestiere dell’editore suscitava, confrontandosi, non solo all’interno dell’editoria cattolica, ma anche con la più significativa e affermata editoria laica italiana. Scorrono in questi convegni i nomi di Carlo Verde della Utet, di Valentino Bompiani, di Antonio Vallardi, di Carlo Alberto Cappelli. Si coglie un rapporto di intensa collaborazione con l’Associazione italiana editori. I relatori e i partecipanti a questi convegni erano portatori di diverse istanze, erano espressione di un pluralismo culturale che offriva anche all’editoria cattolica stimoli e prospettive nuove, che andavano comunque verificate e confrontate con la peculiare fisionomia e con i compiti propri dell’editore cattolico.
In occasione del primo di questi convegni, svoltosi a Roma in occasione dell’anno santo del 1950, Pio XII ricevendo in udienza i convegnisti li richiamò al tema della responsabilità verso l’uomo.
Noi — disse il papa — vi auguriamo una sempre più intima consapevolezza della vostra responsabilità verso l’uomo, che prende in mano il vostro libro, e il cui più alto valore, il suo perfezionamento intellettuale e morale, deve, attraverso questa lettura, avanzare, progredire e mai soffrire danno. Questa coscienza della vostra responsabilità, che è anche responsabile dinanzi a Dio, vorremmo che fosse uno dei frutti del vostro convegno27.
Proprio il tema della responsabilità sarà posto al centro del convegno svoltosi a Canazei nell’agosto del 1953, con una relazione affidata a Fausto Minelli, nella quale veniva messo a fuoco il ruolo dell’editore al servizio della persona umana. L’editore doveva, in altre parole, assumersi il compito di aiutare «l’uomo contemporaneo» a riconoscersi e a «darsi la più alta configurazione storica possibile in rapporto alle condizioni e alle difficoltà che lo premono».
26 A.R., Introduzione ad un catalogo in Catalogo generale 1950 dell’editoria cattolica italiana, Roma 1950, pp. III-IV.
27 Citato in «Atti del convegno editoriale di Canazei, 28, 29, 30 agosto 1953», Ueci, Roma 1954, p. 5.
Da qui anche l’invito a «combattere contro la ragione commerciale per non soddisfare le esigenze false e malsane del pubblico […] per soddisfare, invece, e promuovere nuovi e autentici bisogni del singolo e della società come “nuovo costume”». Un compito, quindi, di grande responsabilità al servizio della persona.
Non va dimenticato che siamo negli anni in cui sta per avviarsi un cambiamento radicale nel costume e nella vita del nostro paese, destinato a provocare anche un processo di secolarizzazione della società italiana mai conosciuto in passato. I rischi che incombevano sull’uomo contemporaneo e soprattutto sul suo equilibrio e sui suoi orientamenti sono chiaramente presenti nelle parole di Fausto Minelli. D’altra parte non mancano nei dibattiti in seno ai convegni dell’Ueci altri e significativi richiami a problemi che nel corso degli anni e anche in giorni a noi più vicini hanno assunto rilevanti dimensioni. Basti citare un brano della relazione al convegno del settembre 1958 aRecoaro Terme, di Antonio Ciampi, allora direttore generale della Siae. In quella relazione si prefigura uno scenario che in realtà è andato ben al di là delle previsioni che vi sono indicate, ma che comunque evidenzia con grande chiarezza l’intuizione di un futuro nel quale il libro rischiava di non essere più l’unico strumento per la trasmissione delle idee e del sapere. Affermò Ciampi:
Cinematografo, radio, televisione e tutti gli altri apparecchi riproduttori di suoni, di voci e di immagini, dal disco al microfilm, costituirebbero i potenti mezzi di espressione del nuovo tipo di cultura. Ma anche altre invenzioni e ritrovati tecnici minaccerebbero seriamente la vita del libro e quindi dell’industria editoriale e delle biblioteche. Ad esempio, la riproduzione, ad uso personale di libri interi o di parti di essi a mezzo di copie fotografiche, di magnetofoni ed apparecchi analoghi, che si va diffondendo in alcuni paesi, senza che ci sia ancora una regolamentazione generale della materia, sarebbe già superata da una recente invenzione che eliminerebbe la difficoltà della consultazione e della infiammabilità del materiale. Sembra che un libro di oltre mille pagine possa essere ridotto ad una lamina di metallo delle dimensioni di una semplice cartolina ed una lente di ingrandimento permetterebbe di leggerlo come fosse un volume, le biblioteche del futuro sarebbero costituite da schede di metallo, contenute in cassetti ed in armadi pure di metallo.
Niente di strano, dunque, che si favoleggi di una nuova civiltà, quella dell’immagine e dell’acciaio, che segnerebbe il tramonto dell’altra, della parola e della carta stampata. E niente di strano che il libro — nelle ricorrenti polemiche di questi ultimi anni — abbia assunto l’ingrato ruolo di un nobile decaduto, per giunta gravemente ammalato, e con poche speranze di salvarsi28.
28 Atti del VI convegno editoriale, Recoaro Terme 12, 13, 14 settembre 1958, Veci, Roma 1958, p. 82.
Questo problema della civiltà dell’immagine non era nuovo nella riflessione degli editori cattolici. Lo stesso Pio XII, nella ricordata udienza del dicembre 1950, aveva parlato loro di esaltazione dell’esperienza visiva a detrimento dell’approfondimento intellettuale rappresentato dal libro. Ma di fronte ad una prospettiva così nuova, Ciampi non poteva non ammonire gli editori a «gettare le basi di una collaborazione e di una alleanza con i mezzi audiovisivi a carattere permanente e non occasionale», giudicando, tra l’altro, non esaurita la funzione e il ruolo del libro. La diffusione dei nuovi mezzi non poteva impedire «all’uomo di ritirarsi in se stesso e di cercare da solo il senso della continuità e il valore morale che danno forma e significato alla avventura umana»29.
Questi primi anni di vita dell’Unione degli editori cattolici che abbiamo ripercorso, sia pure nelle grandi linee, evidenziano quindi una attenzione non superficiale ai problemi morali, spirituali, culturali, tecnici, commerciali che il lavoro dell’editore cattolico solleva. L’Ueci tentò sin dai primi passi di correggere e superare antichi limiti e debolezze dell’editoria cattolica anche sul piano economico-commerciale. Quanto vi sia riuscita è difficile affermarlo. I limiti che hanno spesso afflitto l’editoria cattolica, impedendole una piena espansione, nonostante i molti passi avanti conosciuti, non appaiono forse del tutto superati nel corso di questi ultimi cinquant’anni, nonostante, potremmo aggiungere, il peso che i cattolici hanno avuto nella direzione politica del paese. Questi limiti riguardano un certo isolamento, una difficoltà a penetrare stabilmente nei grandi canali commerciali del libro, a trovare spazio nelle vetrine delle grandi librerie lai che delle maggiori città italiane, anche quando il prodotto offerto non appare di certo inferiore a quello della più nota e diffusa editoria laica.
Tuttavia, il ruolo di una associazione come l’Ueci non può essere letto esclusivamente alla luce dei successi commerciali, pur importanti e per certi versi fondamentali per la vita di un editore. Quei risultati vanno anche interpretati alla luce di una presenza, di un metodo, potremmo dire, che evidenzia uno stile e una coerenza, che ha senza dubbio giovato alla dignità e alla serietà di un lavoro importante per il paese e per il mondo cattolico, un lavoro che ha lasciato un segno nella cultura italiana di questo secondo dopoguerra.
29Ivi, p. 101.